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Atto n. 4-01086
Premesso che:
l’art. 72, comma 11, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito con modificazioni della legge n. 133 del 2008, ha previsto che le amministrazioni possono collocare i pubblici dipendenti in pensione al raggiungimento dei 40 anni di servizio a prescindere dall’età anagrafica;
l’art. 1 del decreto legislativo n. 503 del 1992 e successive modificazioni ha sancito il diritto del lavoratore a proseguire il rapporto di lavoro fino al raggiungimento dell’età anagrafica di 65 anni, anche nel caso che abbia raggiunto la massima anzianità contributiva di 40 anni;
a seguito della privatizzazione del pubblico impiego avvenuta con decreto legislativo 3 febbraio 1993, n. 29, attualmente recepito nel decreto legislativo n. 165 del 2001, la disciplina del lavoro alle dipendenze delle pubbliche amministrazioni è stata uniformata a quella dell’area del diritto privato, compresa la disciplina previdenziale;
l’art. 5, comma 1, del decreto legislativo n. 503 del 1992 ha uniformato i requisiti di pensionamento tra i dipendenti privati e quelli pubblici "fermi restando, se più elevati, i limiti d’età (…) per il collocamento al riposo");
al contrario, l’art. 72, comma 11, ha ora indicato una netta differenziazione nel trattamento pensionistico tra i dipendenti pubblici, che sono collocati in pensione dopo 40 anni di lavoro, ed i lavori privati, che possono continuare a lavorare fino al raggiungimento della massima età anagrafica;
tale differenziazione tra lavoratori configura una disparità di trattamento tra lavoratori in evidente contrasto con l’art. 3 della Costituzione;
secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza (Cassazione 13 aprile 2004, n. 7043), il lavoro costituisce una delle attività realizzatrici della persona e delle forme di esplicazione della personalità che l’art. 2 della Costituzione salvaguarda;
l’art. 72, comma 11, del decreto legge n. 112 del 2008 limita il diritto costituzionale a realizzare la personalità sul luogo di lavoro esclusivamente rispetto ai dipendenti pubblici, mentre nessun vincolo è dettato per i lavoratori privati,
si chiede di sapere:
se, per le parti di propria competenza, il Governo intenda assumere iniziative normative modificative della norma epigrafata al fine di evitare un'ingiustificata difformità di trattamento di fine rapporto tra lavoratori pubblici e privati;
se non intendano a tal proposito riconsiderare quanto proposto dall’art. 1, comma 12, della legge n. 243 del 23 agosto 2004 (cosiddetta legge Maroni) che favoriva il posticipo del pensionamento del personale privato che aveva maturato il diritto alla quiescenza attraverso bonus contributivi;
se non ritengano che la soluzione prospettata contribuisca alla riduzione della spesa previdenziale e concorra quindi al miglioramento dei saldi di finanza pubblica.