CRONISTORIA INFINITA: LA STABILIZZAZIONE DEL
PERSONALE IN ASSEGNAZIONE TEMPORANEA
di Anna Punzo e Franco Tempra
Il problema della “regolarizzazione” della posizione del personale comandato e fuori ruolo si trascina ormai da anni. Di tanto in tanto le istituzioni e politici di diversi schieramenti pongono in risalto la questione e sollecitano soluzioni tese ad eliminare l’anacronistica incresciosa situazione di precarietà in cui versa una moltitudine di lavoratori pubblici chiamati - per i superiori interessi delle pubbliche amministrazioni - a svolgere la propria attività lavorativa in strutture e comparti diversi da quelli di origine. Peraltro, nel contesto del problema del personale “temporaneo” vanno annoverati anche quei funzionari che, ai sensi dell’art. 19, comma 6, del D.lgs n. 165/2001 svolgono incarichi dirigenziali e che, quindi, attese le competenze e professionalità dimostrate e verificate acclarano il consolidamento delle funzioni svolte, previo, ovviamente, superamento di una prova selettiva.
La persistente “dimenticanza di risolvere l’annosa anomala questione circa la situazione di precarietà in cui versa tale personale risulta equiparabile alle fatiche di Sisifo e al supplizio di Tantalo.
Svolgendo, cronologicamente, la pellicola relativa all’insoluto problema si cercherà a futura memoria, di rappresentare i diversi tentativi fin qui svolti tesi a consentire “stabilità” ai lavoratori “temporanei” circa l’amministrazione e la sede di servizio.
La questione è stata oggetto di molteplici e multiformi interventi di livello istituzionale “pregiato”: “interrogazioni parlamentari” ad versus provvedimenti normativi in itinere, ordini del giorno, emendamenti a disegni di legge, tutti finalizzati ad impegnare Parlamento ed Esecutivo nell’emanazione di norme per la stabilizzazione dei dipendenti de quibus. Ed ancora, interventi epistolari diretti ad autorevoli personalità politico-istituzionali, raccolte di appunti, petizioni … Tutto inutile.
Veniamo ai fatti.
Il Ministro della Funzione Pubblica pro-tempore, on.le Mario Bassanini, con nota del 10/11/2000 sottoponeva all’attenzione del Presidente del Consiglio, on.le Giuliano Amato, “…la questione dell’immissione nei ruoli del personale comandato presso la Presidenza”. A sua volta, il Presidente del Consiglio, con lettera del 21/11/2000, nel manifestare condivisione su quanto rappresentato dall’On.le Bassanini, aggiungeva: “… ritengo che il problema da te sollevato sia meritevole di essere istruito al fine di trovare … una soluzione che alla luce della normativa oggi vigente … sia in grado di dare risposta ad aspettative fondatamente maturate, perseguendo al tempo stesso l’interesse primario della migliore organizzazione degli apparati delle attività della Presidenza”. Purtroppo, l’orientamento del governo Amato a risolvere la questione rimase nel limbo delle intenzioni.
Per la cronaca, presso la P.C.M. sorse, in quell’epoca, un fantomatico Comitato del Personale di ruolo che, in dispregio alla solidarietà verso i colleghi che operavano e operano quotidianamente in posizione paritaria, anche se in assegnazione temporanea, rivendicavano con forza, di essere gli “impiegati doc”, pertanto i soli a cui doveva essere garantita la massima tutela, dimenticando che prima del 27 settembre 1988 erano stati anch’essi dei comandati e ... postulanti. Continuando l’excursus, nel 2001 con l’emanazione del decreto legislativo n. 165, fu introdotto l’istituto della mobilità quale strumento per realizzare una ottimale utilizzazione delle risorse umane attraverso la ricollocazione del personale. In tal modo, non solo si diede soddisfazione all’esigenza del singolo lavoratore, ma soprattutto si misero in atto meccanismi di reclutamento -attraverso la mobilità volontaria- tese a reperire professionalità necessarie per lo svolgimento di compiti istituzionali delle pubbliche amministrazioni. La norma, che consentiva e consente il trasferimento di funzionari da un’Amministrazione all’altra, è stata applicata con molta parsimonia (ovvero per pochi casi singoli: i soliti … segnalati?).
In sostanza, è stato disatteso uno strumento (cioè la mobilità concordata) che aveva, come dianzi accennato, la finalità di accrescere l’efficienza delle Amministrazioni, razionalizzare il costo del lavoro pubblico, realizzare la migliore utilizzazione delle risorse umane.
Sulla scorta di tali principi, il governo Berlusconi, con D.L. n 4 dell’11 gennaio 2006 (presentato dal Presidente del Consiglio dei Ministri, dal Ministro per la Funzione pubblica On.le Baccini, di concerto con il Ministro dell’economia e delle finanze on.le Tremonti) prevedeva all’art. 3 la stabilizzazione dei lavoratori comandati. E’ appena il caso di sottolineare che la succitata norma aveva avuto l’avallo dell’allora Ministro del MEF, on.le Tremonti, e non si era registrata alcuna motivazione tecnico-politico ostativa da parte del Segretariato generale della P.C.M.
In sede di discussione in Aula del suddetto disegno di legge, il ministro Baccini, nel sostenere la valenza politico-sociale ed economica del disposto di cui all’art. 3 del provvedimento (che, si ricorda, era finalizzato a stabilizzare il personale c.d. di prestito) ebbe, tra l’altro, a sottolineare “la ferma convinzione della validità di una tale norma è rafforzata oltretutto dal dato per cui essa era stata oggetto di una proposta già avanzata dal Senatore Bassanini nella scorsa legislatura, come Ministro della Funzione Pubblica. Anche lui come me, infatti riteneva che la stabilizzazione del personale in comando fosse – cito testualmente da una Sua comunicazione ufficiale all’ex Presidente del Consiglio prof. Amato- una misura razionale che, in presenza di apporti qualificati sul piano professionale, necessari anche per i miei uffici, come ho già avuto modo di rappresentare in altre occasioni, perviene all’inquadramento di personale di prestito (che si risolve sostanzialmente in un mutamento del titolo dell’assegnazione). Ed anch’io, come l’allora Ministro Bassanini, sono convinto che sia necessario risolvere una volta per tutte la questione, che riguarda personale che da anni è in posizione di prestito. Spero dunque che la sensibilità della Sua parte politica sull’argomento non sia mutata!”.
La norma non fu censurata dal MEF–RGS, né ebbe alcun veto da parte dell’Amministrazione presidenziale e fu pertanto licenziata dalle competenti Commissioni Bilancio e AA.CC. di entrambe le Camere. Inopinatamente, però, non fu convertita in legge perché –secondo quanto comunemente viene riferito- pare che il disposto in argomento dovesse essere esteso anche ai “portaborse” comportando un notevole aggravio di spesa.
Dopo tale debacle, la stabilizzazione del personale c.d. di prestito fu realizzata dal Dipartimento della Protezione Civile in base al decreto legge n. 90/2005 con l’immissione in ruolo di ben 179 unità di dipendenti non di ruolo. Da tale “beneficio” fu escluso il personale, anch’esso “temporaneo” sparpagliato nei diversi Dipartimenti della PCM e Ministeri.
Ed ancora, nel 2006 prima di lasciare l’incarico di Segretario Generale al Quirinale, il dr. Gifuni consentì di far transitare in ruolo tutti i “distaccati”, circa 1000 lavoratori. Ma anche il Ministero degli Affari Esteri, nel 2007 provvide a collocare nei ruoli un congruo numero di funzionari “temporanei”. Ed infine, il Segretariato Generale della Corte dei Conti, con decreto datato 20/10/2006 indisse presso la Corte dei Conti, in applicazione dell’articolo 30, commi 1 e 2 bis del d.lgs n. 165 del 2001 ed in esecuzione della circolare n. 2 del 26/04/2006 della Presidenza del Consiglio dei Ministri – Dipartimento della Funzione Pubblica (Procedure di Mobilità - personale in posizione di utilizzo temporaneo) procedure di inquadramento in ruolo del personale in servizio in posizione di comando. In sostanza l’Amministrazione contabile aveva ottemperato sia al disposto legislativo che alla direttiva presidenziale.
Attesa la riottosità delle Amministrazioni ad attivare i processi di mobilità concordata, gli on.li Fallica e Scandroglio (PDL) proposero, nel 2008, un emendamento al disegno di legge n. 1441-quater teso a stabilizzare la posizione nelle sedi di servizio del personale “temporaneo”, regolarizzando, dopo decenni, il sostanziale status di precarietà di questa bistrattata categoria di lavoratori.
L’emendamento fu accolto ed approvato all’unanimità dall’XI Commissione Lavoro della Camera. Soddisfatti del risultato, i citati deputati in un Comunicato stampa (ANSA – ITALPRESS) dichiararono: “Siamo lieti che la Commissione abbia approvato il nostro emendamento perché tale disposizione risponde principalmente ad un principio di equità e di razionalizzazione delle risorse umane disponibili nell’Amministrazione dello Stato. Gli organici delle varie Amministrazioni pubbliche diverranno, così, reali e non più virtuali. L’emendamento attua un effettivo contenimento della spesa del personale, imponendo alle Amministrazioni di coprire le vacanze in organico, mediante il trasferimento del personale già vincitore di concorso che ha dimostrato dove già presta servizio in assegnazione temporanea, di possedere specifiche competenze culturali e professionali”. Conclusero affermando:“Niente regalie, nessun assalto alla diligenza, nessuna penalizzazione o delegittimazione: solo una norma di rigore, con lo sguardo rivolto alla razionalizzazione, efficienza ed economicità della P.A.”.
Anche questa iniziativa – pur non avendo avuto parere contrario dal Segretariato Generale della P.C.M., dal Dipartimento della Funzione Pubblica, né osservazioni di sorta da parte del M.E.F. – R.G.S. – non andò in porto. Questa volta, però, pare che fossero state le OO.SS. aziendali a fare pressione sul Governo affinché l’emendamento venisse bocciato. Lungi dal fare sterili polemiche (a pensar male è peccato, ma qualche volta ci si azzecca – Andreotti docet-) non si può non osservare che da voci di corridoio, da velate indiscrezioni e da circospetti sussurri sembrerebbe che l’amministrazione presidenziale, neghittosa dal considerare la valenza politico-sociale ed economica dell’emendamento, abbia assecondato e fatto proprio (forse per evitare perniciose conflittualità) il diktat dei Sindacati. L’atteggiamento ostativo da parte dei Sindacati derivava dal fatto che, a fronte di posti vacanti, si attivassero le ennesime progressioni verticali piuttosto che ricoprire le vacanze organiche con la stabilizzazione del personale comandato. Eppure è conclamato che effettuare i passaggi da un’area all’altra comporta una novazione del rapporto di lavoro in quanto, secondo la giurisprudenza, si tratta di accesso a funzioni più elevate per le quali è richiesto l’espletamento di un concorso pubblico aperto all’esterno, con conseguente riflesso sui conti pubblici. Ma tant’è!
Non è finita qui! Continuando la carrellata relativa alla trama inerente ai tentativi per risolvere il problema, si segnala l’iniziativa, di qualche mese fa ad opera dei Senatori Fleres e Alicata, per la presentazione del solito emendamento sui comandati in sede di approvazione del D.L. n. 78 del 31.5.2010.
Il Parlamento si è trovato, così, a dover esaminare ed approvare due articoli aventi lo stesso oggetto pur se distinti nell’individuare i beneficiari. L’uno governativo, volto a stabilizzare unicamente i dipendenti comandati presso la Protezione Civile; l’altro, parlamentare, che avrebbe esteso tale possibilità a tutto il personale statale temporaneo distaccato nei Ministeri e presso la P.C.M..
Sul testo governativo il M.E.F. – R.G.S. non ha ritenuto di formulare alcuna osservazione, omettendo comunque di evidenziare che la norma governativa avrebbe comportato un aggravio di spesa alle casse dello Stato perché consentiva di immettere nei ruoli anche personale proveniente da comparti non ministeriali. Per contro, sulla norma parlamentare, cui erano destinatari soli i funzionari statali e, quindi, a invarianza di spesa, inspiegabilmente il M.E.F. – R.G.S – per la prima volta – ebbe ad esprimere parere ostativo. Parere strumentale, sommamente discriminatorio, iniquo ed immotivato attesa la palese disparità di valutazione, rispetto a quello governativo. Ed ancora, la norma parlamentare avrebbe risposto ad un’esigenza di razionalizzazione delle risorse umane disponibili nelle amministrazioni statali. Si sarebbe trattato di una trasposizioni fotografica della posizione normo-retributiva posseduta dall’impiegato e, quindi, di una mera operazione di trasferimento del trattamento economico complessivo dell’Amministrazione di provenienza a quella di destinazione.
Nonostante la ragionevolezza delle argomentazioni espresse, ancora una volta logiche estranee all’interesse del Paese e ai principi di buon andamento ed imparzialità dell’amministrazione, hanno prevalso.
E’, come rappresentato per sommi capi, una storia infinita, fra luci ed ombre, speranze e delusioni.
Eppure, una positiva soluzione consentirebbe, finalmente, il “consolidamento” di un patrimonio di professionalità e competenze comprovate e adeguate nel tempo, costituitosi ormai dopo anni presso le Amministrazioni ministeriali e la P.C.M. e renderebbe possibile una razionalizzazione ottimale della distribuzione del personale pubblico.
Sulla questione, diverse sentenze e decisioni giurisprudenziali considerano inderogabili e, pertanto, illegittime le indizioni di concorsi pubblici cui -si ribadisce- sono assimilate le procedure inerenti i passaggi di area/categoria senza il propedeutico avvio delle procedure di trasferimento, mediante la cessione del contratto di lavoro, da un’amministrazione all’altra. Questo principio è stato suffragato e ribadito da due direttive-guida (in materia di mobilità concordata, di cui all’art. 30 dei d.lgs 165) nn. 2 e 4 rispettivamente datate 26.4.2006 e 18.4.2008 (naturalmente ignorate dalle pubbliche amministrazioni).
La pellicola di questa storia ventennale non è ancora da incartare e riporre in soffitta. La “stabilizzazione” nei ruoli delle Amministrazioni in cui il personale c.d. prestito esplica la propria attività lavorativa con competenza e professionalità, non deve rimanere un sogno malato di utopia. Deve essere, invece, come qualcosa da realizzare e per la quale si deve continuare, con perseveranza, ad impegnarsi onde renderlo possibile.