IL FENOMENO CLIENTELARE DEI COMANDATI
IL CASO DEL MINISTERO DELLA DIFESA
di Anna Punzo e Franco Tempra
La c.d. “privatizzazione” del pubblico impiego -
attuata attraverso il decreto legislativo n. 29 del 1993, più volte modificato
e, infine, trasfuso nel d.lgs n. 165 del 2001 - ha demandato alla contrattazione
collettiva la definizione dei meccanismi di sviluppo professionale. Nel corso
degli ultimi dieci anni, su pressione del personale e quindi delle OO.SS. e con
la colpevole acquiescenza della parte negoziale pubblica, si è verificata una
diminuzione dei contingenti delle aree/categorie iniziali e intermedie con
contestuale corrispondente incremento dei livelli economici apicali, ma
soprattutto una “migrazione” in massa del personale dei livelli più bassi verso
le aree/categorie superiori, attraverso progressioni interne sia orizzontali che
verticali, effettuate mediante corsi c.d. di riqualificazione, non sempre
selettivi. Ciò ha creato una discrasia negativa ai fini della funzionalità degli
uffici, in quanto i dipendenti “reinquadrati” nell’area funzionale
superiore, non sempre sono in grado di svolgere le mansioni corrispondenti alle
nuove qualifiche rivestite. Ed ancora, i reinquadramenti “semiautomatici”
verso posizioni e livelli superiori, hanno prodotto il costoso e poco gestibile
fenomeno degli organici a piramide capovolta.
Contemporaneamente, negli ultimi anni, si è, inoltre, registrato, nelle
amministrazioni statali e specialmente presso la P.C.M., a causa del generale
blocco di nuove assunzioni, un utilizzo sempre più ampio di personale comandato,
cioè proveniente da altre amministrazioni pubbliche, chiamato a sopperire alle
crescenti carenze degli organici.
Dopo circa un ventennio di tale “andazzo”, si è creata la paradossale
situazione di un organico di ruolo teoricamente riqualificato, ma
sostanzialmente inadeguato allo svolgimento dei compiti istituzionali e,
parallelamente, l’aumento esponenziale del contingente di personale comandato,
cioè in posizione di “utilizzo temporaneo”. Tale personale, di fatto
necessario al funzionamento degli uffici cui è preposto, versa in un’iniqua
situazione di precarietà ed instabilità lavorativa, senza prospettive di
stabilizzazione, nonostante operi stabilmente nelle amministrazioni in cui è
comandato – a seguito di reiterati provvedimenti di conferma - attestanti la
specifica competenza e validità professionale.
Nelle pubbliche amministrazioni, l’organizzazione degli uffici ed i relativi
organici dovrebbero, invece, nel rispetto dei principi dettati dalla
Costituzione, essere definiti razionalmente, in funzione del perseguimento
dell’efficienza, efficacia ed economicità.
In tale quadro di riferimento, presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri,
contro ogni logica e ragionevolezza, in luogo di razionalizzare le risorse
umane, attraverso il trasferimento, su domanda, di detto personale nei quadri
dell’amministrazione in cui presta servizio, in posizione di prestito, è stata
privilegiata la reiterata e costosa attuazione di meccanismi di progressioni
professionali interne, riservate al solo personale dei ruoli.
E’ incomprensibile che le amministrazioni pubbliche, ed in particolare la P.C.M.
che dovrebbe essere il “Palazzo di cristallo”, non ottemperino ai disposti
legislativi e ignorino o fingano di ignorare la costante giurisprudenza ( anche
costituzionale- vedi sentenza n. 1 del 1999 della Corte Costituzionale) in
materia. Eppure il decreto legislativo n. 165 del 2001 all’art. 30 espressamente
stabilisce l’obbligo per le amministrazioni (compresa la PCM) di esperire
preventivamente le procedure di mobilità, con previo inquadramento del personale
in posizione di comando, prima di procedere a procedure concorsuali ovvero a
processi di riqualificazioni interne verticali. Attraverso tale strumento
normativo (c.d. “mobilità concordata” o “cessione del contratto di
lavoro”) si perverrebbe ad una razionalizzazione delle risorse umane,
attuando anche una sentita esigenza di giustizia ed equità nei confronti di
dipendenti comandati che da anni prestano servizio nelle amministrazioni, senza
alcuna certezza circa la propria futura sede di servizio. Nella maggior parte
dei casi, tale personale appartiene ad amministrazioni con sede di servizio
lontano dalla propria sede di residenza e che ogni anno si trova sotto la “spada
di Damocle” del rinnovo del provvedimento di comando, in assenza del quale
sarebbe costretto a rientrare nelle Amministrazioni e nelle sedi di appartenenza
originaria, pur prestando ormai servizio, da svariati anni, a Roma ed avendo,
conseguentemente, radicato in tale sede la propria vita lavorativa e familiare.
Si tratta, in sostanza, di una forma di particolare precarietà lavorativa –“precarietà
della sede di servizio” - non meno grave e penosa delle altre forme di
precariato, che rende impossibile per tale personale una qualsivoglia
programmazione della vita familiare.
Con amarezza, però, si deve constatare che la logica, la trasparenza, il
rispetto stesso delle prescrizioni normative, di fatto, spesso sono aggirati e/o
disattesi. Recentemente, infatti, risulterebbe che, previo “accordo” tra
la Presidenza del Consiglio ed il Ministero della Difesa, quest’ultimo
abbia informato il Segretariato Generale della Presidenza, con lettera del
17/12/2010, di non voler più dare corso al rinnovo del provvedimento di comando
per il proprio personale -sebbene in servizio da oltre un ventennio presso la
P.C.M.- in ragione delle criticità organizzative dovute alle notevoli carenze di
impiegati (si tratta di 40 unità di personale). Non si può non rimanere
perplessi dinanzi all’“accordo” sopra accennato. E’ un precedente
preoccupante che potrebbe, “a cascata”, essere seguito anche da
altre amministrazioni ministeriali e di cui non se ne comprende la logica. Ed
allora: cosa farà la P.C.M.? Rimpiazzerà tale personale con altro personale
comandato? E a che scopo e con quali prospettive? E’ una strategia per un
“ricambio” d’impiegati con professionalità più qualificate e mirate, oppure
si tratta di un espediente posto in essere per sottesi orientamenti clientelari
e/o politici/elettorali?
Sono dubbi amletici che attanagliano i funzionari c.d. di prestito perché, allo
stato, non riescono ad intravedere una “sponda” che li tuteli.
Anche alla luce della nostra breve disamina sull’annosa problematica che
coinvolge i lavoratori temporanei, da anni privi di una reale tutela da parte
dei sindacati aziendali della PCM (salvo effimere promesse periodicamente
rinnovate in occasione delle elezioni delle RSU e puntualmente sempre disattese)
ed in considerazione del congelamento triennale dei contratti dei pubblici
dipendenti, del blocco delle indennità premiali, dello stop delle assunzioni,
dell’impossibilità di effettuare progressioni orizzontali e verticali, chi
scrive si domanda e si chiede: le OO.SS. e per esse i responsabili sindacali si
gireranno i pollici in attesa che, fra qualche anno, si apra la stagione
contrattuale?
Certamente no! Ci auguriamo che, illuminati sulla via di Damasco, le OO.SS.
chiedano alle Amministrazioni Ministeriali, ed in primis alla Presidenza del
Consiglio, di aprire tavoli negoziali per ricercare idonee soluzioni alla triste
vicenda del personale comandato, anche attraverso l’attuazione delle procedure
di mobilità di cui all’art. 30 del d.lgs. 165/01, stabilizzando, a costo zero,
finalmente nei ruoli della PCM i colleghi comandati da decenni.
Siamo certi che i responsabili Sindacali della PCM romperanno, finalmente, il
loro silenzio assordante sulla questione del personale di prestito, da anni sul
tappeto, e con enfasi si ergeranno a paladini delle istanze dei comandati,
sinora inascoltate, assicurando il loro impegno attivo e fattivo, affinché si
concretizzi un’aspettativa di stabilizzazione da anni agognata dal personale
temporaneo.
E’ un sogno, una chimera, un’illusione? No! Vuol essere un auspicio e una
speranza che diventi realtà. Siamo sicuri che, alla luce dei propri compiti di
coordinamento e di impulso, la PCM non potrà che essere d’esempio per le altre
amministrazioni ed, in special modo per quelle ministeriali, e dunque provvederà
con solerzia ed equità alla razionalizzazione dei propri organici.
Diversamente, se ciò non dovesse avvenire, dovremo registrare l’ennesima
sconfitta del buon senso e dell’efficienza organizzativa nell’amministrazione
presidenziale.