Crisi economica, disoccupazione giovanile e aumento della povertà. In Italia, in questi ultimi anni, serpeggia un malcontento diffuso perchè il costo della vita aumenta e lo stipendio diminuisce. I politici chiedono al Paese di fare sacrifici, ma non si uniscono alla gente nella loro richiesta. Le caste ed i poteri forti riescono a sottrarsi al rispetto delle regole grazie a norme di favore, leggine ed eccezioni che impoveriscono solo chi è già povero.
Dalla lettura del decreto del Presidente della
Repubblica 5 ottobre 2010. n. 195, riguardante la determinazione dei limiti
massimi del trattamento economico onnicomprensivo a carico della finanza
pubblica per rapporti di lavoro dipendente o autonomo, emerge che sono
parecchie le eccezioni in cui il tetto del compenso del primo presidente della
Corte di cassazione si può superare. Infatti, “fatta la legge trovato
l’inganno”, ed è stata forse proprio la ricerca dei sistemi per aggirare tale
limite a costituire il motivo per cui il regolamento ha richiesto ben 3 anni
prima di approdare in Gazzetta.
Il regolamento attua l’art. 3, commi da 44 a 52-bis, della legge finanziaria
2008 (legge n. 244 del 2007), in base al quale il trattamento economico
onnicomprensivo di chiunque riceva a carico delle pubbliche finanze
emolumenti o retribuzioni nell’ambito di rapporti di lavoro dipendente o
autonomo con pubbliche amministrazioni statali, agenzie, enti pubblici anche
economici, enti di ricerca, università, società non quotate a totale o
prevalente partecipazione pubblica e relative controllate, ovvero sia titolare
di incarichi o mandati di qualsiasi natura nel territorio metropolitano, non
può superare quello del primo presidente della Corte di cassazione, pari a poco
più di 15mila euro mensili.
Trattamento onnicomprensivo ma non sempre.
Fatti salvi i casi della Banca d’Italia e
delle Authorities, per le quali il superamento del tetto era già autorizzato
dalla legge, il decreto n. 195/2010 prevede che, ai fini della verifica
del rispetto del limite, non sia computato il corrispettivo globale percepito
per il rapporto di lavoro o il trattamento pensionistico corrisposti al
soggetto destinatario, rispettivamente, dall’amministrazione o dalla società di
appartenenza e dall’ente previdenziale.
Vengono, poi, totalmente esonerate le attività soggette a tariffa
professionale, quelle di natura professionale non continuativa, i contratti
d’opera non continuativi ed i compensi determinati ai sensi dell’articolo 2389,
comma 3, del codice civile, degli amministratori delle società non quotate a
totale o prevalente partecipazione pubblica e le loro controllate investiti di
particolari cariche.
I casi eccezionali
Per chi non rientra nei casi precedenti e che
dovrebbe accontentarsi di soli 15mila euro al mese, non tutto è perduto: per
esigenze di carattere eccezionale, che però non devono durare più di tre
anni, devono essere riconducibili ad eventi imprevedibili non fronteggiabili con
l’attività dei dipendenti e dei consulenti e richiedere una prestazione
lavorativa straordinaria, i soggetti conferenti, previa dettagliata
motivazione, possono anche derogare a tale limite massimo.
E sempre con motivazione specifica e trasparente riguardo i requisiti di
professionalità, esperienza e merito in relazione alla tipologia di prestazione
richiesta, le singole amministrazioni o società potranno attribuire al
medesimo soggetto più incarichi in deroga al limite massimo previsto.
La spesa non si riduce
Vista l’enfasi che, in sede di Finanziaria 2008, era stata data alla norma in questione quale rimedio agli stellari compensi previsti all’interno della galassia degli incarichi pubblici, ci si sarebbe aspettati, con il decreto attuativo, una riduzione della spesa e non semplicemente la sua invarianza, come previsto all’articolo 8, che, nella sostanza, conferma quello che si capisce leggendo il testo della norma, cioè che, tra deroghe ed esenzioni, il sistema non cambierà di molto.