ESSERE SINDACATO
di Anna Punzo
Fare sindacato è
una cosa seria; presuppone integrità morale ed onestà intellettuale. Se poi si
posseggono doti di comunicazione e competenza professionale, capacità gestionali
e strategiche, idee chiare ed innovative, concrete e aderenti alle realtà del
momento, fare sindacato diventa un dovere morale nei confronti di chi lavora.
E’ come fare programmi televisivi di buon livello: non contano i dati auditel,
perché la qualità va difesa anche a costo di perdere consensi. Come le scelte
coraggiose o la buona politica.
Eppure non ci pensa più nessuno.
Siamo bombardati da politici “soubrette” e da sindacalisti politicanti,
dalle promesse “spot” per acquisire consensi e dai salotti televisivi per
orientare il voto degli italiani.
In un Paese in cui si è smarrito il confine tra virtuale e virtuoso, tra morale
e liceità, tra legalità e permissivismo, serve un sindacato che educhi al
coraggio di affermare i propri diritti e denunciare gli abusi.
In realtà sto parlando di “democrazia”, quella vera, quella che ispirò i padri
della Costituzione e che resiste al cambio delle mode e dei Governi, perché è
fondata su principi inossidabili, ed è più attuale e all’avanguardia di tante
ridicole pseudo-riforme dei giorni nostri che hanno riempito pagine di
Gazzette Ufficiali, e che sono state cassate, modificate e disattese per mera
propaganda elettorale.
Il sindacato che ci vuole, oggi, dovrebbe essere un sindacato che rappresenta e
tutela gli interessi dei lavoratori. Un sindacato che sottoscriva contratti che
fanno il bene dei rappresentati e non dei rappresentanti, e che racconti la
verità sul sacrificio che ti chiede.
Un sindacato che non deve imbonirti o ricattarti perché tu ne faccia parte, e
che sappia guardare lontano, almeno oltre le ragioni personali del suo
Segretario generale.
Se chiedo ai colleghi, però, mi accorgo che siamo in pochi a crederci ancora.
I più si nascondono dietro i soliti discorsi “non ci credo più, sono sempre i
soliti, fanno gli interessi loro…” lavandosi la coscienza e giustificando i
fallimenti.
Così nulla cambia, per la soddisfazione di quelli che diranno “che vi avevo
detto?”.
Perché non cambiare fa comodo a tutti.
L’associazione dei vicedirigenti pubblici, UNIVIP, è nata grazie
alla voglia di cambiamento che permea il nostro Paese da un decennio e che è
divenuta più insistente dall’inizio di questa legislatura. Non si pone in
concorrenza con i sindacati rappresentativi, perché non si pone traguardi di
rappresentatività, ma di acquisire consensi.
In principio è servito solo a dare voce ad una categoria di lavoratori pubblici
sacrificati alle logiche della compravendita del posto di lavoro, col tempo si è
rafforzato ed è diventato una vetrina per sensibilizzare, informare e denunciare
gli abusi e le contraddizioni presenti nelle amministrazioni statali.
Si badi bene: non una sterile lamentela sul cattivo funzionamento degli apparati
pubblici, ma una proficua proposta di rinnovamento e di cambiamento a vantaggio
dell’efficienza, della trasparenza e della economicità delle nostre
amministrazioni.
Grazie al patto di collaborazione con il SIPU ed il SINADI,
UNIVIP sta lavorando alla proposta di riforma del sindacato italiano, per
renderlo più vicino al modello europeo.
Sappiamo bene che scardinare le “vecchie mentalità” è un’impresa ardua,
ma arrendersi prima di averci provato è di sicuro un fallimento più grande.
Il sindacato italiano ha fallito, sia nel pubblico che nel privato. La
Confindustria lo ignora, il Ministro Brunetta pure. E le loro logiche prevalgono
a scapito dei lavoratori onesti che non saranno difesi da nessuno, perché chi li
rappresenta è ancora legato a logiche di tutt’altra ispirazione democratica.
Bisogna riscrivere le regole ed è questo che faremo.
Ci emargineranno come al solito. Non importa.
Dal nostro angolo di visuale daremo voce alle lamentele, raccoglieremo prove e
denunceremo.
Lasceremo tracce.
Le generazioni passano, ma le azioni restano. Qualcuno saprà raccogliere dalla
nostra semina.