Il Governo finalmente fa ammenda e prova a correre ai ripari: è urgente dipanare i dubbi sull’applicazione del Dlgs n. 150/2009. [1].
Adesso, con il provvedimento approvato dal Consiglio dei ministri il 21 gennaio scorso, sulla proposta del ministro per la Pubblica amministrazione e l’innovazione, di concerto con il ministro dell’Economia e delle finanze, arriva la correzione, ossia, secondo l’etimologia del termine, lo strumento per guidare diritta la riforma, facendo bene ciò che, evidentemente, bene non era stato fatto.
Il decreto correttivo
Trattasi di uno schema di decreto legislativo, ora trasmesso alla Conferenza unificata ed alle Commissioni parlamentari per i prescritti pareri, che vorrebbe offrire la corretta e definitiva interpretazione delle regole sulla ripartizione delle fonti, sul procedimento negoziale e sull’applicazione delle norme, al fine di sanare le discrasie ad oggi emerse.
Il provvedimento trae origine dalla delega di cui alla legge 4 marzo 2009, n. 15, finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e alla efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni e si compone di un unico articolo, rubricato “Modifiche e interpretazione autentica dell’articolo 65 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150”, suddiviso in tre commi:
- comma 1, all’art. 65 del decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) al comma 4 le parole: “articolo 30, comma 4.” sono sostituite dalle seguenti: “articolo 31, comma 4.”;
b) dopo il comma 4 è inserito il seguente: “4-bis. - Hanno comunque immediata applicazione, ai sensi degli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, le disposizioni di cui all’articolo 33, modificativo dell’articolo 2 del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Fonti), all’articolo 34, modificativo dell’articolo 5, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001 (Potere di organizzazione) e all’articolo 54, comma 1, modificativo dell’articolo 40 del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, (Contratti collettivi nazionali e integrativi) nonché le disposizioni in materia di contrattazione integrativa.”;
- comma 2, l’art. 65, commi 1, 2 e 4, del Dlgs n. 150/2009 si interpreta nel senso che l’adeguamento dei contratti collettivi è necessario solo per i contratti vigenti alla data di entrata in vigore del citato decreto legislativo, mentre ai contratti sottoscritti successivamente si applicano immediatamente le disposizioni introdotte dal medesimo decreto;
- comma 3, l’art. 65, comma 5, del decreto 150 si interpreta nel senso che le disposizioni che si applicano dalla tornata contrattuale successiva a quella in corso al momento dell’entrata in vigore dello stesso Dlgs n. 150/2009 sono esclusivamente quelle relative al procedimento negoziale di approvazione dei contratti collettivi e, in particolare, quelle contenute negli artt. 56, 58, 59, comma 1, e 66, comma 3, del citato decreto legislativo n. 150 del 2009.
La legge “15”
Pare opportuno, prima di ogni altra considerazione, ricostruire schematicamente i caratteri generali della delega legislativa. Essa presenta peculiarità:
- procedurali (art. 72, comma 4, Cost.):
riserva di assemblea per esame e approvazione della legge;
- sostanziali (contenuti necessari di cui all’art. 76, Cost.):
indicazione di un tempo limitato;
di oggetti definiti entro cui la delega deve essere circoscritta;
determinazione di principi e criteri direttivi.
Il trasferimento della funzione legislativa al Governo, di natura derogatoria ed eccezionale[2], avviene con un termine certo, che nel caso della legge n. 15/2009 è stabilito in nove mesi (art. 2, comma 1). Tuttavia, nella medesima legge, il legislatore delegante, edotto delle probabili difficoltà tecniche ed applicative di una riforma consistente e penetrante, ha stabilito che “entro ventiquattro mesi dalla data di entrata in vigore dei decreti legislativi di cui al comma 1, il Governo può adottare eventuali disposizioni integrative e correttive, con le medesime modalità e nel rispetto dei medesimi principi e criteri” (art. 2, comma 3).
Tale apertura della delega, teleologicamente disposta al fine di perfezionare l’intervento in corso d’opera, è ora utilizzata dal legislatore delegato per intervenire al solo scopo di garantire l’immediata applicazione della riforma stessa, altrimenti, per molti aspetti salienti, procrastinata all’approvazione dei prossimi contratti collettivi nazionali di lavoro.
Occorre ricordare che, nella decretazione delegata, anche correttiva, la discrezionalità dell’Esecutivo è delimitata dalle particolari previsioni della norma delegante, dal complesso dei criteri direttivi impartiti e dalle ragioni e finalità generali della delega. Per costante giurisprudenza della Corte costituzionale, ai fini della valutazione del vizio di eccesso di delega, le norme della legge di delegazione che determinano i principi e i criteri direttivi devono essere interpretate tenendo conto del contesto normativo complessivo e delle finalità ispiratrici della delega[3].
Da questo punto di vista, il decreto correttivo sembra esporsi a nuovi fronti giudiziari. Il meccanismo civilistico d’inserzione automatica delle clausole nulle, richiamato dalla legge delega n. 15/2009 tra i “Principi e criteri in materia di contrattazione collettiva e integrativa e funzionalità delle amministrazioni pubbliche”, di cui all’art. 3, nel “prevedere l’applicazione delle disposizioni di cui agli articoli 1339 e 1419, secondo comma, del codice civile, in caso di nullità delle clausole contrattuali per violazione di norme imperative e dei limiti fissati alla contrattazione collettiva” (comma 2, lett. d), pare riferirsi ai prossimi contratti collettivi “pena un evidente difetto di costituzionalità”[4], mentre il decreto correttivo ne amplia l’ambito ai contratti in essere, salvo, “esclusivamente”, per le norme “relative al procedimento negoziale di approvazione dei contratti collettivi”.
Con ciò si afferma una volontà d’immediata caducazione degli accordi negoziati in essere, o almeno di una parte consistente della disciplina in essi contenuta, di cui non c’è, né poteva esserci, giusto quanto sopra, riscontro nella legge delega.
La disciplina interpretativa
Ciò per quanto riguarda il rapporto tra legge delega e decreto delegato, ma occorre anche notare come la relazione tra decreto delegato e decreto correttivo, salvo quanto stabilito al comma 1, lett. a), si sostanzi in una disciplina interpretativa, quindi con efficacia retroattiva, anche se solo gli ultimi due commi si auto qualificano come tali.
È noto che la volontà del legislatore delegato, anche se esplicita, non è sufficiente ad assicurare che si sia effettivamente realizzata una legge interpretativa la quale, invece, deve essere valutata per le sue intrinseche caratteristiche. È, cioè, necessario verificare se, oltre all’elemento intenzionale, dal punto di vista contenutistico le norme realizzino una vera e propria interpretazione, cioè siano meramente dichiarative e volte a chiarire una volontà precedente e non espressive di una volontà normativa.
In altre parole, il significato imposto dal legislatore delegato deve comprendersi nell’ambito semantico della disposizione interpretata senza modificarla, secondo una costante giurisprudenza, che riconosce “carattere interpretativo soltanto ad una legge che, fermo il tenore testuale della norma interpretata, ne chiarisce il significato normativo ovvero privilegia una tra le tante interpretazioni possibili, di guisa che il contenuto precettivo è espresso dalla coesistenza delle due norme (quella precedente e l’altra successiva che ne esplicita il significato)”[5].
La giurisprudenza costituzionale più volte si è espressa a favore della facoltà del legislatore di adottare norme che precisino il significato di altre disposizioni legislative, quando l’interpretazione rientri tra le possibili varianti di senso del testo originario, con ciò vincolando un significato ascrivibile alla norma anteriore, in presenza ed in conformità di un indirizzo omogeneo della Corte di cassazione e quando sussista una situazione d’incertezza nell’applicazione del diritto o vi siano contrasti giurisprudenziali (in verità ipotesi assenti riguardo alle fattispecie in esame)[6].
A voler tacere d’altro, va evidenziato che il comma 1, lett. b), dell’articolo unico dello schema di decreto correttivo incide sull’enunciato linguistico del Dlgs n. 150/2009 con un’integrazione che si presenta come emendamento testuale, ma con effetti interpretativi e, quindi, retroattivi.
In proposito, il giudice delle leggi ha individuato, oltre alla materia penale, diversi limiti alla retroattività, i quali “attengono alla salvaguardia di norme costituzionali, tra i quali i principi generali di ragionevolezza e di uguaglianza, quello della tutela dell’affidamento legittimamente posto sulla certezza dell’ordinamento giuridico, e quello del rispetto delle funzioni costituzionalmente riservate al potere giudiziario (ciò che vieta di intervenire per annullare gli effetti del giudicato o di incidere intenzionalmente su concrete fattispecie sub iudice)” [7].
La scelta del legislatore di intervenire con norme interpretative pare, in sostanza, opinabile. L’interpretazione, oltre che tardiva e parziale, molte norme controverse del Dlgs n. 150/2009 non sono oggetto di chiarimento, sembra non risolvere le questioni di diritto interpemporale all’origine di un diffuso contenzioso, essendo in grado, anzi, di alimentare ulteriormente il ricorso all’autorità giudiziaria.
Anche volendo considerare premature tali conclusioni, la strada intrapresa dal legislatore delegato sembra diretta all’affermazione del teorema già presentato con la circolare n. 7/2010 ed ora promosso alla dignità di legge, quasi una rivalsa sulle ormai note interpretazioni giudiziali e sulle conseguenti declaratorie di antisindacalità.
Osservazioni finali
Insomma, il decreto correttivo pare voler riportare le lancette dell’orologio al 27 ottobre 2009, data di pubblicazione del decreto Brunetta, ignorando quanto, da allora, ha profondamente modificato il quadro di riferimento: dagli invasivi interventi legislativi susseguitisi, al sostanziale blocco della riforma dei comparti, della contrattazione e del rinnovo delle rappresentanze sindacali unitarie ed al disordine organizzativo manifestatosi in relazione alla complessità applicativa della riforma.
Si tratta di uno schema di decreto legislativo che deve ancora seguire il prescritto iter procedimentale, ma l’impressione è che coloro i quali auspicavano un’opera di gestione del cambiamento e di adattamento sistematico dovranno attendere ancora.
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[1] In ultimo, M. Argenziano, P.F. Raffaelli, Decreto
Brunetta: la riforma che non c’è, in Guida al Pubblico impiego n. 1/ 2011,
pagg. 36 e segg.
[2] L’uso della delega ha conosciuto una progressiva espansione, tanto da ritagliare per essa un ruolo prioritario quale modalità di produzione giuridica, con lo scopo di fornire una scorciatoia nel procedimento legislativo.
[3] Ex multis, Corte costituzionale, 4 aprile 2001 n. 96 e 17 luglio 2000, n. 292, dejure.giuffre.it.
[4] Trib. Torino, sez. Lavoro, 2 aprile 2010, dejure.giuffre.it
[5] Corte costituzionale, 4 aprile 1990, n. 155, dejure.giuffre.it.
[6] Ex multis, Corte costituzionale, 12 luglio 1995, n. 311 e 23 novembre 1994, n. 397, dejure.giuffre.it.
[7] Corte costituzionale, 22 novembre 2000, n. 525, dejure.giuffre.it.