IL PERSONALE COMANDATO:
una sfida etico-sociale
di Anna Punzo e Franco Tempra
In una intervista
apparsa sul quotidiano “il Giornale” del 18 agosto scorso, il dr.
Francesco Verbaro (già direttore generale dell'Ufficio per il personale delle
pubbliche amministrazioni del Dipartimento della funzione pubblica ed ex
Segretario Generale del Ministero del Lavoro) ha segnalato, tra l'altro, che: “tra
le materie toccate dal decreto che anticipa il pareggio di bilancio al 2013 c'è
la mobilità dei dipendenti pubblici”. Ma ha precisato, altresì, che: “Non
mancheranno resistenze, come sempre è avvenuto ogni volta che qualcuno ha
cercato di facilitare la mobilità degli statali, ma adesso serve responsabilità
a partire dai sindacati”.
In altre circostanze i mass-media hanno, nel tempo, informato i lettori del
fenomeno del personale in posizione di prestito presso amministrazioni diverse
da quelle di appartenenza e posto in risalto le incongruenze e le iniquità della
loro situazione di sostanziale vetusta precarietà e che interpretano tuttavia il
proprio ruolo con spirito di “civis servant” e legittime aspettative.
Gli articoli di R. Ribaud sull’”Avanti” del 29/3/2007, di G.
Parisi su “Italia Oggi” del 4/2/2010, di B. Di Giovanni su “l’Unità”
del 19/2/2010, di S. Rizzo sul “Corriere della Sera” del 19/5/2011
hanno stigmatizzato questa situazione che coinvolge un numero sostanzioso di
dipendenti (circa 6.500 lavoratori pubblici, di cui circa 800 unità presso la
Presidenza del Consiglio dei Ministri e 5.700 presso i vari Dicasteri). In
questi articoli si manifestano, pur con sfumature diverse, l’irrazionalità della
diffusione di questa prassi, causa ed effetto di disfunzioni organizzative,
fonte di sperequazioni retributive e professionali fra dipendenti pubblici e,
non da ultimo, di precarietà per i lavoratori interessati sempre sotto la “spada
di Damocle” di un rimpatrio forzato all’amministrazione di origine, con
sacrificio personale e professionale.
Gli autori degli articoli citati denunciano una situazione abnorme,
consolidatasi nel tempo, aggravata dalla circostanza che non si prospettano
soluzioni alla palese dicotomia costituita dalla circostanza che gli organici
delle amministrazioni pubbliche, nei fatti, non sono veritieri, ma virtuali.
Il legislatore, invero, mediante l'articolo 30 del decreto legislativo 165 del
2001, più volte modificato ed integrato, ha cercato di agevolare le
amministrazioni ad attuare i processi di mobilità volontaria e concordata.
Allo stato risulta che solo la Corte dei Conti e l'Amministrazione Autonoma dei
Monopoli di Stato hanno ottemperato al menzionato disposto legislativo. Alcune
amministrazioni invece hanno ritenuto di attuare l'anzidetta norma
“selettivamente” in evidente dispregio dei principi di parità ed uguaglianza e,
stando ai si dice, spesso per nepotismo.
In tale quadro di riferimento, da sommesse indiscrezioni diffuse nei corridoi
dei palazzi presidenziali, sembra che la P.C.M. intenda inquadrare nei ruoli
specifiche figure professionali (ingegneri, architetti, geometri, infermieri
ecc.).
Se così fosse, la Presidenza in una logica del tutto discrezionale (con una
applicazione distorta dell’art. 30 del 165/2001) favorirebbe particolari
categorie di impiegati in un'ottica parziale del problema.
Non si può non rimanere basiti e profondamente perplessi dinanzi ad una grave
dimenticanza, da parte del gotha presidenziale, che non considera alla
stessa stregua gli amministrativi. Funzionari che hanno peculiari competenze in
materia legislativa, contrattuale, contabile e di bilancio i quali, in ogni
caso, sono l'ossatura portante di ogni Amministrazione. Detto ciò, al di là
delle predette considerazioni, l'anomalo fenomeno risulta, in modo macroscopico,
nelle linee di attività della P.C.M. ove la consistenza di funzionari in
servizio temporaneo è quasi pari alle unità di personale di ruolo. Ciò
nonostante, l'amministrazione presidenziale in dispregio e violazione dei
disposti legislativi in materia di mobilità concordata, non si conforma alle
norme vigenti, anzi continua a chiamare personale da altre amministrazioni
pubbliche, e/o senza una logica pragmatica, trasferisce in modo discrezionale
particolari professionalità perseverando a calpestare e violare i principi di
equità e di diritto.
Di fatto, si legittima la “stabilizzazione” dello stato di costante incertezza
di tale personale di prestito; si incoraggia in modo strisciante la passiva
acquiescienza del personale comandato ai voleri del princeps, in
violazione degli elementari principi di imparzialità e buon andamento, per
evitare di essere collocato, anche dopo anni di positivo servizio, a
disposizione; si favoriscono atteggiamenti di mobbing da parte di taluni
dirigenti, i quali, a loro volta, subiscono l'influsso dei “poteri forti”
conseguenza di una sempre minore garanzia del diritto.
Per concludere, non sembra superfluo riportare quanto Benedetto XVI ha
menzionato nell'aula del Bundestang il 29 settembre u.s. citando un'affermazione
di Sant'Agostino, secondo cui lo Stato, senza diritto, è come una “grossa
banda di briganti”. Il Pontefice ha poi soggiunto che il compito dei
politici (ma anche delle OO SS. e della classe dirigente in generale) è “servire
il diritto e combattere il dominio dell'ingiustizia”. È un monito che
dovrebbe far riflettere le componenti istituzionali nel perseguire soluzioni
assentite e socialmente eque e giuste e da molti agognati, tra cui proprio il
personale che da anni attende il trasferimento nell'amministrazione ove è
legittimamente professionalmente incardinato.
Se si volessero seguire le indicazioni del Santo Padre, almeno nelle pubbliche
amministrazioni, il problema dei comandati troverebbe facile soluzione, con la
semplice applicazione delle norme di legge vigenti.
Non è mai troppo tardi per ravvedersi!