Unione Nazionale Direttivi e Vicedirigenti Pubblici

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PERSONALE COMANDATO:

la saga continua.

di Anna Punzo e Franco Tempra

Già in precedenza avevamo paventato la possibilità che l’amministrazione presidenziale si stava ingegnando a predisporre un provvedimento finalizzato ad inquadrare nei ruoli organici particolare categorie di comandati (ingegneri, architetti, geometri, infermieri, ecc...) ed un esiguo numero di amministrativi.
Tutto ciò nel totale silenzio dei Sindacati rappresentativi della Presidenza del Consiglio dei Ministri, che si sono guardati bene dal richiedere all’amministrazione l’apertura di un tavolo per definire, sulla base delle norme vigenti, le modalità, le procedure e i criteri propedeutici alla “cessione del contratto di lavoro dei dipendenti”.
Invero, taluni sindacati hanno manifestato il loro dissenso al provvedimento in itinere, limitandosi a fornire al personale informative che già circolavano nei corridoi dei palazzi presidenziali. Notizie e indiscrezioni che hanno creato fra il personale comandato aspettative, ma anche apprensioni circa l’orientamento dell’amministrazione di stabilizzare soltanto circa 70 unità a fronte di circa 350 vacanze, di cui 150 di fascia “A”. I timori sono accentuati dal fatto che il provvedimento in argomento prevede, come detto in premessa, l’immissione in ruolo soltanto di uno sparuto numero di amministrativi ritenuti dai vertici dirigenziali meritevoli di essere “regolarizzati”. Eppure, il 1°comma dell’art. 30 del d.lgs n. 165/2001 stabilisce che : “Le amministrazioni devono in ogni caso rendere pubbliche le disponibilità dei posti in organico da ricoprire attraverso il passaggio diretto di personale da altre amministrazioni”. Evidentemente, poiché non sembrano risultare sufficienti i posti messi a disposizione, allora delle due l’una: o molti dipendenti temporanei risulterebbero in esubero e, quindi, dovrebbero essere posti a disposizione e restituiti all’Amministrazione d’origine; oppure, ancorché abbiano avuto anche per due lustri la conferma-reiterazione del provvedimento di comando, iniquamente verrebbero immolati alla “ragion di stato” impedendo loro di essere immessi in ruolo a copertura dei posti che verranno – prima o poi- con la supina acquiescenza della P.C.M ricoperti con le “progressioni verticali” e le c.d. “conciliazioni”.
Come al solito, in assenza di trasparenza e stante l’inerzia dei sindacati aziendali, si rischia di assistere alla solita arbitraria distinzione tra figli di un Dio maggiore, “inquadrandi” in ruolo, e figli di un Dio minore, condannati “all’eterno comando”. E’ opportuno rammentare che la mobilità concordata corrisponde al principio costituzionale di buon andamento e si concretizza nella migliore distribuzione e razionalizzazione  delle risorse umane comportante peraltro risparmi di spesa.
Per chiarire: le progressioni verticali  hanno un costo, in quanto gli emolumenti stipendiali vengono detratti dal FUP con conseguente affievolimento del budget destinato alla premialità e al miglioramento della performance nell’interesse generale.
Sul punto, il giornalista Antonio Signorini sul quotidiano il Giornale del 29-3-2008 faceva notare che “le cifre necessarie agli aumenti (derivanti dalle progressioni orizzontali e verticali) verranno sottratte dal fondo per la Presidenza del Consiglio. Questo però comporta che i dipendenti di ruolo si prenderanno la fetta più consistente di una torta (il FUP) che dovrebbe andare… anche ai comandati”. Ed ancora, “il passaggio (ad un livello economico superiore o all’area funzionale superiore) consiste solo nell’aumento di stipendio. Le mansioni generalmente restano le stesse. Una specie di dequalificazione volontaria (la qualifica e lo stipendio sono superiori al lavoro effettivamente svolto). Insomma:  “…un’altra anomalia nella gestione del personale che lavora nel cuore dell’attività governativa”.
E’ stucchevole ricordare ed enucleare la litania delle numerose sentenze in tema del “previo esperimento delle procedure di mobilità rispetto ai concorsi esterni ed interni”. Sentenze ben note al volgo e all’inclito. Di fatto la Presidenza risulta una repubblica a parte che aggira e ignora le disposizioni legislative in materia di mobilità. La neghittosità dell’amministrazione presidenziale e i sottesi interessi di “appartenenza” tutelati dai sindacati aziendali, tragicamente e amaramente collimano. Ergo, il personale temporaneo, considerato da molti degli “ospiti”, continua a subire silenziosamente angherie psicologiche e giuridiche.
A coronamento di quanto sopra rappresentato, non si può non far riferimento alla lettera d’intenti che l’Esecutivo ha assunto di recente nei confronti dell’UE, laddove si impegna a rendere obbligatoria la mobilità. Tale enunciazione di principio dovrà concretizzarsi in un provvedimento legislativo, cogente per tutte le amministrazioni, compresa la P.C.M. Da detto assunto è ragionevole suggerire al Gotha presidenziale e ministeriale di anticipare, sulla scorta dell’art.30 del d.lgs 165, il disposto che dovrebbe rendere obbligatoria la mobilità, predisponendo un provvedimento amministrativo, previa rimodulazione delle dotazioni organiche, al fine di inserire nei ruoli il personale in assegnazione temporanea presso le varie Amministrazioni (circa 6.500 dipendenti, di cui 800 presso la PCM) che ne faccia domanda.

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