PERSONALE COMANDATO: EQUITA'
ovvero evitare disparità di trattamenti
di Anna
Punzo e Franco Tempra
Il neo Presidente del
Consiglio dei Ministri, nel suo discorso programmatico ha affermato che il
provvedimento "salva-Italia" per il risanamento dei conti pubblici e per
lo sviluppo economico e sociale si sarebbe ispirato ai principi cardine non solo
del rigore e della crescita, ma anche dell’equità.
Lungi da facili retoriche e/o considerazioni saccenti, si ritiene utile, prima
di affrontare la questione del personale comandato, soffermare l’attenzione su
ciò che comunemente si intende per equità, il cui esercizio non può non avere
implicazioni tanto nella sfera dell’etica quanto in quella del diritto. In
sostanza l’equità è un termine intrinsecamente correlato ai criteri di
eguaglianza e giustizia sociale.
Fatta questa breve premessa e senza voler entrare nel merito del decreto "salva-Italia",
che ha suscitato profonde perplessità e notevole sconcerto nella maggior
parte dei cittadini e soprattutto nei pubblici dipendenti, è doveroso
evidenziare che nelle Amministrazioni pubbliche l’equità fra personale di ruolo
e personale temporaneo non è realizzata. Difatti nelle amministrazioni dello
Stato, ed in particolare nelle strutture della PCM, presta la propria attività
lavorativa in posizione di comando o fuori ruolo una consistente massa di
impiegati e funzionari, i quali da anni attendono la trasformazione da ‘’status
temporaneo’’ in posizione di ruolo mediante la ‘’cessione del
contratto di lavoro’’ in ottemperanza all’art. 30 del d.lgs. n.165 del
2001.
È una chimera!
Infatti, mentre il personale di ruolo consegue progressioni di carriera e
sviluppi economici in tempi rapidi il personale temporaneo, che costituisce un
patrimonio di cultura, professionalità e competenza, contribuendo così al
raggiungimento degli obiettivi istituzionali, resta ai margini. Escluso da
qualsivoglia riconoscimento, sia per quanto riguarda la carriera che per la
perdurante situazione di instabilità ed incertezza derivante dalla non
coincidenza della sede lavorativa.
In tale quadro, al Presidente del Consiglio (nonché al Sottosegretario alla PCM
Catricalà, profondo conoscitore della galassia presidenziale e dell’annoso
problema del personale di prestito) è sfuggito che la stabilizzazione di circa
6500 lavoratori pubblici “comandati”, di cui 800 in servizio presso la PCM
avrebbe prodotto i seguenti effetti:
a) si sarebbe data applicazione a norme legislative obbligatorie da rispettare per tutte le pubbliche amministrazioni;
b) si sarebbe ottenuto un risparmio di circa un miliardo di euro;
c) si sarebbe sanato
un fenomeno di sostanziale iniqua instabilità di tanti dipendenti pubblici che
hanno diritto di essere inquadrati nell’amministrazione dove sostanzialmente
prestano lavoro per decenni.
La mobilità volontaria è uno strumento che non risponde solo all’interesse
dell’amministrazione che vi fa ricorso, ma garantisce una più razionale
distribuzione delle risorse umane tra amministrazioni pubbliche di cui all’art.
1 comma 2 del d. lgs. 165/2001, e realizza economie di spesa per la gestione
dello stesso personale.
Il fenomeno del personale di prestito è divenuto, oramai, una prassi costante
in dispregio alle vigenti disposizioni legislative che sanciscono, chiaramente,
di stabilizzare il personale comandato, laddove sussistono vacanze organiche.
Sul punto, si sottolinea che: a) le amministrazioni cedenti di dipendenti in
prestito ad altre amministrazioni sono costrette a congelare il posto in
organico senza poterlo diversamente coprire anche per tutta la durata lavorativa
del dipendente posto in comando; b) le amministrazioni si avvalgono del
personale di prestito per far fronte a carenze di qualificate e peculiari
competenze non rinvenibili nell’ambito delle proprie strutture; c) nei confronti
dei dipendenti temporanei, per anni viene ripetuto il provvedimento di conferma
del comando, in quanto i requisiti professionali e le competenze adeguate e
comprovate sono ritenute indispensabili alle linee di attività delle diverse
amministrazioni.
E’ lapalissiana la valenza organizzativa, sociale ed economica che riveste il
conseguimento di un assetto strutturale delle risorse umane e, quindi,
un’adeguata rimodulazione delle piante organiche.
Ciò nonostante si segnala che la Presidenza del Consiglio dei Ministri, con
D.P.C.M. dell’11.11.2010, ha indetto un concorso pubblico per 17 unità nell’area
apicale F1 con un onere complessivo annuo, a regime, pari a 584.402,54 euro,
sebbene, nell’ambito degli uffici presidenziali prestino servizio temporaneo
funzionari comandati da altre amministrazioni che sono in possesso dei requisiti
e titoli indicati nel bando. Perché non si è dato avvio alla mobilità
concordata, come sancisce la legge?
Vero è che risulterebbe stia per
essere emanato un decreto di mobilità, ai sensi dell’art. 30 del D. lgs
165/2001, per la copertura di 25 posti di categoria A e 95 posti per la
categoria B, per un totale di 120 posti.
Perché solo 120 “fortunati”? Cosa ne sarà degli altri 680? Li restituiranno alle
amministrazioni di appartenenza o resteranno “apolidi”?
Perché non si approfitta di questa “fase tecnica” dell’amministrazione dello
Stato per risolvere il problema di quanti nelle amministrazioni pubbliche sono
ancora in balia della instabilità della loro posizione di stato?
Il Sottosegretario Catricalà, a parere di chi scrive, ha autorevolezza e
conoscenza della materia in misura sufficiente per proporre i provvedimenti
idonei a dare definitiva ed equa soluzione al problema del personale comandato,
anche in considerazione del fatto che il trasferimento di detto personale, oltre
a rispondere ad esigenze di equità ed efficienza organizzativa, avverrebbe
essenzialmente a costo zero, trattandosi di personale già presente nei ruoli
della P.A.