INTORNO ALLA MANNAIA DEI
TRASFERIMENTI E DELLA MOBILITA’
di Anna Punzo e Franco Tempra
L’esperienza delle
precorse riforme, di cui si rammenta quella sulla soppressione dei c.d. Enti
inutili (L. 70/75, l. n. 382/75 e DD.P.R. nn. 616, 617 e 618 del 1977), porta a
ricordare l’esodo forzoso di un notevolissimo numero di impiegati (circa 12.000
unità) preposti alle materie trasferite. In ragione dell’ampiezza dei movimenti
delle risorse umane, i sacrifici dei dipendenti coinvolti unitamente alle loro
famiglie, suscitano doverose quanto opportune riflessioni.
Oggi la storia si potrebbe ripetere, secondo la famosa teoria dei corsi e
ricorsi di G. B. Vico.
I nuovi assetti organizzativo-ordinamentali, che tutte le pubbliche
amministrazioni si stanno ingegnando ad attuare, coinvolgeranno una gran massa
di lavoratori. Difatti, secondo una stima elaborata dal MEF le eccedenze di
personale nella P.A. potrebbero arrivare a quasi 300.000 unità. Ed ancora, “se
le 13.000 società pubbliche seguissero l’esempio del Tesoro, ne nascerebbe un
esodo biblico” da Il Messaggero del 16/6/2012.
In sede di riassetto delle PP.AA. i lavoratori di ogni ordine grado e
professionalità, in essi compresi i dirigenti ritenuti in esubero, potrebbero
essere coinvolti (per effetto dell’art. 33 del D.Lgs 165/2001 e dell’art. 16
della L. 183/2011 e della famigerata spending review) nel turbine dei
processi di trasferimento e mobilità d’ufficio per una redistribuzione delle
risorse umane funzionali alle nuove strutture.
In tale quadro di riferimento, qualora si attuassero le norme citate, i
dipendenti pubblici subiranno un mutamento di servizio, un cambiamento di sede
di lavoro in un’altra città e un riciclaggio professionale, il tutto con
prevedibili, negativi riflessi per la famiglia. Inoltre, vista la cattiva
distribuzione del personale risultante carente al Nord ed eccedente al Sud, i
lavoratori eccedentari saranno costretti a coprire uffici vacanti che si
trovano, quasi esclusivamente, nel settentrione.
L’impatto, com’è intuibile, sarebbe meno indolore se il trasferimento del
dipendente avvenisse in un’amministrazione che abbia sede nella stessa città ove
presta servizio, ma sarà traumatico allorquando l’amministrazione di
destinazione sia ubicata in una città diversa.
Per quanto, in breve sintesi osservato, al fine di evitare dissonanze,
discrezionalità, sperequazioni e difformità operative, il Governo, le
Amministrazioni e i Sindacati non possono non farsi carico della ricaduta
sociale e politica, nonché dei riverberi familiari, economici e professionali
sul personale. La materia è delicata per cui occorrerebbe che, in sede ARAN,
ovvero presso il Dipartimento della Funzione Pubblica, mediante un tavolo di
confronto con le OO.SS. si prefiguri – attraverso un “provvedimento quadro”
– un indirizzo procedurale con criteri chiari ed assentiti, circa l’iter dei
processi di trasferimento e mobilità, individuabili principalmente nei seguenti
elementi:
Ø anzianità anagrafica;
Ø anzianità di servizio complessiva;
Ø anzianità di servizio nella qualifica/area;
Ø anzianità di servizio presso l’Amministrazione;
Ø anzianità di qualifica posseduta;
Ø numero dei trasferimenti ai quali il dipendente sia stato sottoposto fra Amministrazioni diverse e nell’ambito della stessa Amministrazione;
Ø professionalità, la cui valutazione va fatta tenendo conto dell’anzianità di servizio senza demerito presso specifici e ben determinati settori dell’Amministrazione di appartenenza;
Ø
composizione del nucleo familiare, anche in relazione alla presenza in famiglia
di soggetti tutelati dalla legge n. 104/92.
Nel contempo, appare necessario che le singole
Amministrazioni diano contezza delle vacanze esistenti nei vari Enti e
Dicasteri, specificando le aree e le professionalità a cui dovranno seguire le
pubblicazioni dei bandi di mobilità. Sul punto è lecito suggerire che occorre:
· agevolare, in primis la mobilità volontaria;
·
consentire al personale comandato e fuori ruolo di essere immesso (“mediante
cessione del contratto di lavoro”) nei ruoli organici dell’Amministrazione
ove presta servizio in posizione temporanea ai sensi dell’art. 30 del D.Lgs
165/2001.
Nell’ambito dello scenario dianzi rappresentato, anche sul personale del MEF e della PCM si sta abbattendo il cataclisma dell’esodo forzoso. Infatti, il disegno di provvedimento per la crescita (in itinere) prevede anche per tutte le PP.AA uno snellimento delle strutture e riduzione degli organici. In questa ottica la PCM, al momento, ha emesso provvedimenti di restituzione di personale di prestito proveniente da “fuori comparto” alle rispettive Amministrazioni di appartenenza, nonché, una riduzione del 20% dei dirigenti e un taglio del 10% dei dipendenti dei ruoli.
Eppure, si registra uno svuotamento consistente delle dotazioni organiche (della PCM e della Protezione Civile) pari a circa 600 unità. Vacanze che potevano essere coperte con la mobilità di cui al comma 2 ter dell’Art. 30 del D.Lgs 165/01 immettendo nei ruoli il personale in assegnazione temporanea.
Da quanto sopra evidenziato se ne deduce che l’Amministrazione presidenziale strategicamente è orientata ad un ridimensionamento strutturale con riduzione di dipartimenti, direzioni, uffici e servizi in previsione appunto di un nuovo e più ristretto apparato. Ne discende, pertanto, che il personale tutto, comandato e di ruolo, si trova in una situazione di estremo timore. Peraltro si soggiunge che, il “diritto di opzione” di cui potevano avvalersi i lavoratori di ruolo, allo stato, non può essere più esercitato ed occorre un provvedimento legislativo per ristabilirlo.
Tutto ciò, in dispregio ad una logica di razionalità e ragionevolezza che avrebbe dovuto tener conto dei fabbisogni professionali, di esperienze maturate e consolidatesi nel tempo presso i variegati apparati presidenziali, nonché del fattore umano, famigliare e logistico.
Senza voler apparire allarmistici, nei corridoi e nelle stanze presidenziali, alle voci allarmate e dolenti che serpeggiano tra il personale, si avvertono anche flebili sussulti di speranza secondo cui la paventata contrazione delle strutture possa rimanere nel limbo di mere enunciazioni.