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A CHE SERVE LA FUNZIONE PUBBLICA?
di Anna Punzo e Franco Tempra
L’incidenza della pratica attuazione dell’art. 2 della legge n.
135 del 7 agosto 2012, recante “Riduzione delle dotazioni organiche delle
P.A.”, potrebbe avere una notevole e preoccupante ripercussione sul
personale pubblico se non verrà condotta con la giusta competenza e con
l’inequivocabile intento di fornire soluzioni serie alle annose problematiche
del personale pubblico. Questa Associazione, sollecitata anche da tanti
colleghi, ha formulato alcune riflessioni con il solo scopo di promuovere un
dibattito costruttivo ed individuare soluzioni percorribili che modulino le
esigenze riformatrici con quelle del personale.
Innanzitutto occorre osservare che le posizioni giuridico-economiche nell’ambito
del P.I., ancorché abbiano un unico modello gerarchico formale basato sulle aree
e/o categorie, fasce economiche e profili professionali, hanno dato vita, in
ogni comparto, ad assetti ordinamentali distinti e peculiari, attagliati di
regola alle specificità dell’Amministrazione.
Di conseguenza, nei pregressi processi di riforma della P.A. e, quindi dei
correlati trasferimenti di personale, è spesso emersa una notevole disomogeneità
tra le posizioni giuridiche dei lavoratori, per cui è stato necessario
predisporre appositi provvedimenti di equiparazione per attribuire a tale
personale un corretto inquadramento nella nuova amministrazione. Sennonché,
detti provvedimenti di equiparazione sono stati elaborati a seconda
dell’amministrazione e del comparto di appartenenza, con criteri per niente
univoci e tante volte a danno delle casse dello Stato (si pensi al caso dei
“postali” nel Ministero dell’Economia e Finanze o dei “ferrovieri”e del
“personale ex CONI” nel Ministero della Difesa che sono stati inquadrati nella
posizione giuridica in virtù non della professionalità posseduta, ma dello
stipendio che percepivano nell’Ente di provenienza).
Invero il passaggio da un comparto ad un altro (atteso il vasto e variegato
mondo giuridico-contrattuale dei vari comparti) si è realizzato con ampia
discrezionalità da parte delle amministrazioni riceventi, con la conseguenza di
realizzare inquadramenti favorevoli per alcuni e dannosi per altri.
In tale quadro di riferimento, il personale sistematicamente paga il prezzo
delle strategie che di volta in volta vengono adottate da chi persegue interessi
che non rispondono a logiche egualitarie ma settarie. Per evitare tale
mercimonio di carriere e favoritismi, appare evidente perciò che prima di dar
corso ai processi di trasferimento di cui alla legge 135 del 2012, venga
predisposto un provvedimento di equiparazione tra qualifiche “equipollenti”
nel rispetto della “par condicio” di cui all’art. 3 della Costituzione,
sì da ottenere che le posizioni normo-retributive, i profili professionali e le
diverse tipologie poste a confronto, risultino ad ogni effetto e a qualsiasi
fine sostanzialmente omogenei ed equivalenti tra loro.
La questione non è nuova. Sono anni che la Funzione Pubblica si oppone ad un
provvedimento del genere.
Perché, vi chiederete? Non ne sono capaci, forse? Impossibile! Li pagano
profumatamente mica per girarsi i pollici. E allora?
E allora se non sono ignoranti, sono in malafede.
Questa volta, però, il problema è serio, se seri sono i professori chiamati a
“salvare l’Italia” per il bene comune.
Dichiarare a tutti i mezzi di comunicazione che i dipendenti pubblici sono
troppi e che è necessario snellire le dotazioni organiche delle nostre
amministrazioni, senza considerare che il lavoro e le professionalità acquisite
costituiscono una ricchezza di un Paese, e che pertanto si deve aver cura di
agire con ponderazione e competenza, vuol dire creare sterili allarmismi.
A nostro giudizio, per la predisposizione dei DD.PCM attuativi dell’art. 2 della
legge 135 del 2012, occorre tener conto:
- delle consistenze organiche di medio e lungo periodo, e cioè effettuate considerando quanti dipendenti saranno posti in quiescenza d’ufficio e quanti se ne andranno per raggiunti limiti di età;
- delle richieste di mobilità volontaria che si produrranno;
- degli obiettivi che le amministrazioni devono perseguire in termini di efficienza e produttività;
- della peculiare posizione del personale comandato, tenuto conto di quanto asserito dal Ministro Patroni Griffi, secondo cui la determinazione dei lavoratori eccedenti ed i conseguenti trasferimenti verrà effettuata “non in maniera lineare, ma selettiva” (chi è competente a giudicare questo personale?)
In realtà il problema più grosso, come sempre, si pone proprio
per il personale in prestito, il quale fa comodo all’amministrazione che lo
richiede, fa comodo all’amministrazione che lo cede, salvo poi lavarsene le mani
entrambe quando cominciano i problemi.
In questi giorni, infatti, si sta assistendo ad una situazione paradossale. Le
amministrazioni considerano in esubero il personale che hanno dato in prestito
alle altre amministrazioni e quelle che lo hanno ricevuto, considerano tale
personale in esubero perché non è nei loro organici.
E’ il caso del personale “fuori comparto” in servizio alla Presidenza, costretto
a far ritorno nella propria amministrazione senza neanche sapere se sarà
considerato in esubero!
Non se ne può più di queste pagliacciate che non fanno onore al Paese. Nessuno
nega che gli amici vanno favoriti, ma se non si pone un freno a questo libero
arbitrio, a farne le conseguenze saranno tutti, amici compresi!
Intanto risulterebbe che la Funzione Pubblica sia in procinto di emanare un
unico DPCM con il quale verranno resi noti gli esuberi e le vacanze per aree e/o
categorie segnalate dalle singole amministrazioni alla data del 31 ottobre 2012.
In definitiva un mero atto notarile!
Viene spontaneo domandarsi: ma a che serve la Funzione Pubblica?
Sarebbe meglio, pertanto, al fine di evitare operazioni arbitrarie e
disomogenee, contrarie non solo all’interesse dei lavoratori ma anche
dell’amministrazione, che la Funzione Pubblica, in virtù dei propri compiti
istituzionali di indirizzo e coordinamento, adotti un ulteriore DPCM contenente
criteri oggettivi, modalità ed indirizzi equi e chiari.
Diversamente, si lascerà alle singole amministrazioni o, ancor peggio, ai
singoli Uffici, il potere discrezionale di effettuare le operazioni di
trasferimento, a prescindere da qualsivoglia ed effettiva misurazione delle
competenze e delle professionalità del personale interessato.