BRUNETTA e la riforma delle pensioni
di Anna Punzo
UNIVIP, il
sindacato nazionale dei direttivi vicedirigenti pubblici, ha appreso dagli
organi di stampa le nuove proposte per riformare il sistema pensionistico per i
dipendenti pubblici avanzate dalla Commissione di studio sulla parificazione
dell’età pensionabile, istituita dal Ministro della Funzione Pubblica, Renato
Brunetta, a seguito della sentenza della Corte di Giustizia UE che ha sanzionato
l’Italia per non aver parificato l’età pensionabile tra uomini e donne.
INCREDIBILE! Ci siamo detti.
Forse che il Ministro Brunetta sa che esiste un’età pensionabile nel nostro
ordinamento?
Allora, ci può spiegare il significato dell’art. 72 della legge 133 del 2008
che, prescindendo dall’età pensionabile, consente all’amministrazione di
mandare in pensione il personale che abbia maturato 40 anni di contribuzione?
Chi ci conosce sa che siamo stati il primo sindacato ad entrare in azione
e ad allertare tutte le forze politiche parlamentari sugli effetti distorsivi
che sarebbero derivati dall’approvazione di una tale norma, facendoci parte
attiva nella formulazione di due emendamenti, uno di soppressione ed un altro di
modifica.
NULLA È SERVITO!
Così oggi registriamo nelle nostre amministrazioni, malcontento e rabbia per
quanto sta avvenendo. Nell’INPS la norma è già stata applicata, mentre nelle
Agenzie fiscali l’applicheranno a breve.
Ma la norma è censurabile, quindi è facile prevedere che ben presto saranno
proposti ricorsi inutili, che si potevano evitare se il Ministro Brunetta avesse
avuto le idee chiare sulla materia.
PERCHE’ PENSIAMO CHE IL MINISTRO BRUNETTA NON ABBIA LE IDEE CHIARE?
E’ semplice da capire. Se le avesse avute, o non avrebbe nominato una
Commissione di studio sulla materia, o non avrebbe concepito l’art. 72 del testo
normativo.
Abbiamo cercato di conoscere, a puro titolo di curiosità, le proposte ipotizzate
dalla Commissione.
Abbiamo scoperto che sono cinque:
1.
elevare l’età pensionabile delle lavoratrici parificandola a quella dei
lavoratori, rendendo obbligatorio e non più facoltativo anche a loro l’accesso
alla pensione di vecchiaia a 65 anni;
2. estendere nel settore pubblico anche agli uomini la facoltà di accesso alla pensione di vecchiaia all’età di 60 anni, fermo restante il limite legale a 65 anni;
3. fissare per entrambi i sessi il requisito di età, per l’accesso facoltativo alla pensione di vecchiaia nel settore pubblico, a un’età intermedia tra 60 e 65 anni;
4. rendere applicabile ai dipendenti pubblici il regime previdenziale dell’INPS, considerato dalla Corte di giustizia di tipo cosiddetto “legale”;
5. fissare l’età della pensione di vecchiaia, uguale fra generi, a regime nella pubblica amministrazione del nostro Paese nell’arco flessibile dei 62-67 anni.
Per ognuna delle proposte considerate, il Ministro ha
sottolineato i punti di criticità.
Senza voler scendere troppo nel dettaglio, onde evitare tecnicismi “alquanto
noiosi”, le maggiori argomentazioni che il Ministro ed i suoi collaboratori
hanno addotto si possono in breve riassumere:
- problema di disparità di trattamento tra lavoratori del settore pubblico con quelli del settore privato;
- aggravi per la spesa pensionistica e contrasto con la tendenza generale all’aumento della vita media e dell’età pensionabile.
NON E’ POSSIBILE!
Sono le stesse motivazioni che erano state citate a fondamento degli emendamenti presentati (si legga la relazione illustrativa) e delle interrogazioni parlamentari sull’art. 72 della legge 133 del 2008. (vedasi interrogazione) che UNIVIP aveva caldeggiato!
COSA HA SPINTO IL MINISTRO A SVEGLIARSI DAL TORPORE IN CUI VIVE?
La sentenza della Corte di Giustizia europea.
Eppure, la problematica affrontata dalla Corte, non è sconosciuta al nostro Paese.
Forse qualcuno si ricorderà che prima che intervenisse la Corte di Giustizia Europea, la Corte Costituzionale italiana con sentenza n. 256 del 2002, richiamando precedenti decisioni della stessa Corte (n. 498 del 1998 e n. 137 del 1986) aveva ricordato che il primo comma dell’art. 4 della legge n. 103 del 1997 depurato nella parte ritenuta costituzionalmente illegittima era diventato il seguente: “le lavoratrici, anche se in possesso dei requisiti per aver diritto alla pensione di vecchiaia, possono continuare a prestare la loro opera fino agli stessi limiti di età previsti per gli uomini da disposizioni legislative, regolamentari e contrattuali” . In seguito, tale principio era stato rafforzato con la legge n. 216 del 2003 che, recependo una direttiva comunitaria, aveva sancito l’esplicita previsione del divieto di discriminazione per età.
Mancava un espresso provvedimento legislativo in tal senso, un solo piccolo intervento di legge che rendesse operante l’interpretazione del giudice costituzionale.
Una bella occasione, sig. Ministro, una volta insediatosi al Governo, per dare ai suoi dipendenti fannulloni, il segnale che finalmente qualcosa stava cambiando sul serio.
COSA FA INVECE BRUNETTA?
Confeziona il decreto legge 112, e, tra i tanti obbrobri incostituzionali, ci inserisce l’art. 72.
SIG. MINISTRO la disparità di
trattamento tra lavoratori del settore privato e lavoratori del settore
pubblico, l’aggravio di spesa previdenziale e l’andamento in controtendenza
rispetto agli altri Paesi europei sul graduale innalzamento dell’età
pensionabile, Lei l’ha commessa proprio con l’art. 72 della legge 133 del 2008.
Lei e tutti quei burocrati come lei, che si credono grandi “manager” soltanto
perché i danni provocati da tanta leggerezza e faciloneria, nello scrivere un
tal indefinibile genere di norme così come nell’applicarle, le pagano sempre e
soltanto i poveri fannulloni come me.