IL
DISEGNO DI LEGGE SUI COMANDATI
di Anna Punzo e Franco Tempra
Il 14 marzo
scorso gli On.li Silvano Moffa e Vincenzo Antonio Fontana hanno presentato una
proposta di legge diretta a risolvere la situazione del personale in
assegnazione temporanea (circa 800 unità) in servizio presso la P.C.M.,
dimenticando che nella stessa identica posizione si trovano circa 5700
dipendenti, impiegati presso varie amministrazioni statali che pure attendono,
da anni, una risposta alle legittime richieste di stabilizzazione.
È opportuno sottolineare che la proposta di cui al citato atto camera,
soprattutto se ampliata a tutti gli impiegati comandati, risponderebbe ad un
principio di equità e razionalizzazione delle risorse umane in assegnazione
temporanea e consentirebbe di pervenire ad organici reali e non più virtuali
nelle varie Amministrazioni pubbliche interessate.
Nessun assalto alla diligenza. Niente regalie. Non una norma “ad personam”,
bensì una proposta di provvedimento di rigore e di efficienza, nonché una
risposta alle legittime aspettative dei lavoratori temporanei che da anni vivono
la loro attività lavorativa in una posizione di perenne aleatorietà circa la
sede di servizio, le progressioni economiche e di carriera, le conseguenti
ricadute sui trattamenti di quiescenza e previdenza.
Nel frattempo, circola nei corridoi della PCM, in modo circospetto, una voce
secondo la quale l’Amministrazione presidenziale, alla chetichella
avrebbe già immesso, nei ruoli organici di cui alla Tab. A) del D.P.C.M. 11
luglio 2003, alcuni dipendenti comandati “fortunati” e ne stia per
inquadrare, sempre con la massima segretezza, altri che, a suo tempo, non si
avvalsero della facoltà di essere immessi a domanda nei ruoli della PCM.
Se tali indiscrezioni dovessero risultare veritiere, ci troveremmo di fronte
all’ennesima palese ingiustizia: le procedure di trasferimento mediante mobilità
sarebbero state ignorate per la generalità dei dipendenti della PCM in posizione
di comando, che pure ne avrebbero diritto, salvo poi applicarle a pochissimi
“favoriti dalla sorte”. Sarebbe opportuno che le OO.SS. rappresentative
verificassero dette dicerie e, nel caso si rivelassero fondate, in base
al principio di trasparenza, chiedessero di conoscere con quali criteri
l’amministrazione ha collocato nei ruoli alcuni funzionari, dimenticandone
completamente altri che prestano la propria attività lavorativa presso i vari
Dipartimenti presidenziali e che, da oltre un ventennio, aspettano invano
l’agognata immissione in ruolo.
Fatta questa premessa, viene spontaneo domandarsi perché in tutti questi anni,
dall’emanazione del d.lgs n. 303 del 1999 ad oggi, le amministrazioni e
soprattutto la Presidenza del Consiglio dei Ministri non abbiano ottemperato ai
disposti legislativi in merito alle dotazioni organiche razionalizzando le
risorse umane mediante la mobilità volontaria?
Anche questa questione, che riguarda in totale circa 6.500 pubblici dipendenti
in assegnazione temporanea (fonte: dal conto MEF), va annoverata tra i misteri
d’Italia.
Ancora una volta, cercheremo, sulla base del detto latino “repetita iuvant”,
di fare talune riflessioni sul problema del personale comandato, nella speranza
di scuotere le coscienze più o meno sopite.
La legge n. 400 del 1988, per l’espletamento dei relativi compiti, in capo
alla Presidenza del Consiglio dei Ministri ebbe ad istituire, contestualmente,
la dotazione organica del personale di ruolo ed un “contenitore” di
personale comandato e fuori ruolo. Successivamente, in attuazione della legge n.
59 del 1997, fu emanato nel 1999 il d.lgs n. 303, finalizzato a riformare
l’ordinamento della P.C.M. Il processo di riordino dell’organizzazione della
P.C.M. ha investito naturalmente anche la materia inerente la gestione delle
risorse umane.
Sul punto, come già evidenziato in precedenti scritti, il d.lgs 303/1999 ha
previsto:
a.
la conferma, accanto al
contingente di personale di ruolo, di un “serbatoio”di personale di prestito
(articolo 9, comma 2), riservando al Presidente del Consiglio la facoltà, in
caso di reclutamento, di vincolare una quota di posti disponibili (pari al 20%)
all’inquadramento di tale personale (art. 9, comma 3);
b.
In sede di prima applicazione,
la definizione del rapporto tra consistenza del personale di ruolo e contingente
del personale di prestito calcolato sulla base del personale che risultava
assegnato alle strutture della Presidenza alla data del 1 giugno 1999, con
l’obbiettivo di raggiungere, entro tre anni, una percentuale non superiore al 20
per cento (art.11, comma 4).
Purtroppo tali norme sono rimaste lettera morta. Infatti, il contingente del
personale temporaneo (di cui alla tab. C del D.P.C.M. 11.7.2003) inizialmente
pari a 530 unità (con un rapporto tra personale di ruolo e personale di prestito
pari al 25,9%) è poi aumentato in modo esponenziale. Tra il 2001 ed il 2009,
secondo la Corte dei Conti, i dipendenti in posizione di prestito sono cresciuti
ormai più del 43% di tutto il personale della PCM. (fonte: Sergio Rizzo,
Corriere della Sera di giovedì 19 maggio 2011), in contrasto con quanto
espressamente previsto dall’art. 2 del predetto D.P.C.M. che ne prevede la
graduale riduzione nell’arco di un triennio, fino a raggiungere una percentuale
non superiore al 20% della consistenza organica del personale di ruolo.
In dispregio a tale norma la Presidenza ha invece continuato a far ricorso al
personale di prestito per soddisfare le esigenze di funzionamento dei vari
segmenti operativi delle strutture dipartimentali. E’ sconcertante, poi, che la
stessa amministrazione presidenziale abbia, a fronte di cospicui posti vacanti
(derivanti dai collocamenti a riposo), impropriamente e a più riprese, attivato
le “progressioni verticali” riservandole al solo personale dei ruoli, in
contrasto con una giurisprudenza consolidata del Consiglio di Stato e della
Corte Costituzionale, secondo cui tali progressioni, in quanto dirette a “novare
il rapporto giuridico del dipendente” costituiscono violazione del principio
costituzionale dell’accesso ai pubblici uffici mediante pubblico concorso.
Inoltre, ai sensi dell’art. 30 del d.lgs n.165 del 2001, le amministrazioni,
qualora si verifichino vacanze in organico, prima di bandire nuovi concorsi
devono procedere ad inquadrare nei propri ruoli il personale che si trovi in
posizione di comando.
La disposizione in questione è avvalorata da una decisione del Consiglio di
Stato (n. 00379/2010 del 5.2.2010) che sintetizza chiaramente la valenza della
mobilità concordata “…dando concreta attuazione al principio di buon
andamento ed efficienza che deve connotare l’intera organizzazione
amministrativa, all’accertamento della sussistenza di una vacanza di organico
l’amministrazione è tenuta innanzitutto ad avviare la procedura di mobilità
finalizzata ad accertare l’esistenza di pubblici dipendenti già in servizio,
dotati della necessaria professionalità, che si trovino nella legittima
condizione di poter ricoprire il posto vacante…In altri termini il reclutamento
dei dipendenti pubblici avviene attraverso un procedimento complesso nell’ambito
del quale la procedura concorsuale non è affatto soppressa, ma è subordinata
alla previa obbligatoria attivazione della procedura di mobilità, in attuazione
dei fondamentali principi di imparzialità e buono andamento predicati
dall’articolo 97 della Costituzione…è del tutto univoco nell’imporre alle
pubbliche amministrazioni che devono coprire eventuali posti vacanti del proprio
organico di avviare le procedure di mobilità prima di procedere all’espletamento
delle procedure concorsuali” anziché indire i processi di “mobilità
concordata”.
Pertanto, è di tutta evidenza che si debba certamente considerare illegittimo
l’espletamento di concorsi pubblici o di procedure di progressione verticale, se
prima non sono state attivate le procedure di mobilità, ai sensi dell’articolo
30 del d.lgs n.165 del 2001.
Eppure, il Ministro Brunetta, fautore dell’efficienza delle amministrazioni,
giustiziere dei fannulloni e convinto assertore del rispetto della legalità a
vantaggio della meritocrazia, all’interrogazione presentata dall’on.le Bellotti
sull’annosa questione (leggi
interrogazione) ha risposto che “Per quanto concerne la Presidenza
del Consiglio dei ministri, dove è particolarmente elevata la presenza di
personale in comando e fuori ruolo, al momento non sono previste procedure di
stabilizzazione, poiché sono in corso di svolgimento due concorsi per il
conferimento di 26 posti di categoria “A” nel ruolo del personale non
dirigenziale.” (leggi nota n. 10291 del 28 aprile 2011).
Ci faccia capire, Ministro!
Dunque, il personale che attende da anni la stabilizzazione, mediante cessione
del contratto di lavoro, ai sensi dell’articolo 30 del d.lgs n.165 del 2001,
continuerà ad essere pretermesso nei posti in ruolo che invece gli spetterebbero
se fossero correttamente applicate le norme di legge vigenti?
E l’efficienza? E la meritocrazia e la legalità?
E’ evidente che sono state mera propaganda per vincere le elezioni e che saranno
la prossima condizione per perderle.
Al riguardo - a futura memoria - preme sottolineare, in breve sintesi, che la
Presidenza del Consiglio dei Ministri ha bellamente disatteso, nell’ordine: i
principi sanciti dall’art. 97 della Costituzione, l’art. 30 del d.lgs n. 165 del
2001, gli articoli 9, comma 3 e 11, comma 4, del d.lgs. n. 303/1999 - per
effetto di queste ultime norme (come citato in premessa) spetta al Presidente
del Consiglio la rideterminazione dei fabbisogni di personale, con il solo
limite del rispetto tendenziale del rapporto percentuale tra le due grandezze
organiche (di ruolo e di prestito). Ergo, la consistenza del personale
temporaneo dovrebbe essere, come dianzi accennato, pari ad una percentuale non
superiore al 20%, rispetto al contingente del personale dei ruoli.
L’attuazione delle norme sopra evidenziate avrebbe avuto il pregio di eliminare
o quantomeno attenuare il fenomeno dell’utilizzo temporaneo di personale in
amministrazioni diverse da quelle di origine. Detto ciò, non è pleonastico
rammentare che il Presidente del Consiglio ebbe, recentemente, ad osservare che
lo staff quirinalizio è “puntiglioso su tutto”, i Magistrati e la
Corte Costituzionale “si mettono di traverso, frenano e/o affossano i
provvedimenti emanati dall’Esecutivo e approvati in Parlamento”. Lo stesso
Premier e il Suo staff “dimenticano”, però, di applicare le norme di legge
cogenti per tutte le pubbliche amministrazioni, in esse compresa la P.C.M.. E
cosi, vengono affossate le legittime aspettative del personale in
posizioni di utilizzo temporaneo. E, nonostante la componente di personale c.d.
di prestito sia da considerarsi, a tutti gli effetti, incardinata nelle diverse
linee di attività della P.C.M., viene, continuamente, paventa una eventuale
restituzione coatta e arbitraria all’amministrazione d’origine. Tali dipendenti
non si sentono per nulla tutelati dalla generalità delle OO.SS. aziendali e,
perciò, versano, di fatto, in una sorta di sudditanza psicologica che determina
in loro una latente sofferenza morale e sociale, per il timore di non vedersi
rinnovato, anche dopo anni, il provvedimento di comando. Conseguentemente,
nonostante le palesi e ripetute illegittimità poste in essere
dall’amministrazione presidenziale, il personale temporaneo non osa adire la
Magistratura, nel sotteso timore che l’Amministrazione possa disporre “la
messa a disposizione” dell’impiegato comandato che attivi, mediante ricorso
al TAR, la tutela di un proprio legittimo diritto.
Non sarà per molto, e chi ha violato impunemente leggi garantiste dettate a
tutela di tutti i lavoratori pubblici dovrà renderne conto.
Allora finirà l’attuale cronica e ormai secolare situazione dei doppi organici:
quelli reali, composti dal personale effettivamente in servizio (di ruolo e non
di ruolo) e quelli formali, costituiti dal solo personale di ruolo.